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Nell'avvincente scenografia d'una occidentale Sicilia postunitaria, legata dalla morsa malavitosa dei borghi marinareschi in una Palermo sonnolente e contraddittoria, si articola l'emblematica storia di sangue dilatata dalle griglie delle logiche mafiose della città fin nell'entroterra di Milocca. Qui, attraverso un'attenzione per il territorio e per la toponomastica che richiama le planimetrie civiche della Palermo secentesca raccontate da Luigi Natoli, si dipanano le linee di un plot narrativo sapientemente non edulcorato da quei retorici umori che furono propri del feuilleton d'annata, per altro sdoganato dall' attenzione estetica di un Eco, e che ha avuto ancora i segni precisi di una accurata analisi narratologica attraverso la perizia letteraria di un Leonardo Sciascia. Una vicenda avviata dal giovane Luigi Attanasio, falegname di mestiere, il quale, lancia in resta, decide di rapire la sua Clementina, figlia del "villano" Vincenzo Mangiaracina. Cacciato in malo modo, tanto da far intervenire la pubblica forza, si dà la stura, - il tutto documentato dal mattinale e accurato bollettino dei Carabinieri Reali, - a rapimenti, sgozzamenti, agguati, disegnando, nel cerchio dei quindici capitoli, quel reticolo luttuoso di Lande le quali, in opposti ambienti, agiscono affinché i "fatti" trovino il loro adeguato e "onorevole" compimento. Sono questi gli umori di fondo de "I masnadieri dell'Acquasanta" di Antonio Fiasconaro, il quale ci restituisce, nella sua già nota scrittura agile quanto vivida, la misura del linguaggio siciliano e della psicologia isolana. Umori e cromatismi d'una Sicilia sottoposta al giogo delle violente logiche feudali, e di una criminalità che inizia a concretarsi in quelle gerarchie di facinorosi che, ad oggi, sono ancora tristi marchi d'una città poco incline al riscatto.